L'Importanza del Pointing nei Bambini

Intorno all’anno di età i bambini arricchiscono il loro repertorio comunicativo pre-linguistico, incominciando a indicare col dito (pointing) in presenza di un’altra persona.
A dispetto della sua apparente semplicità, questo gesto si sviluppa su una serie di competenze cognitive e sociali e sull’inclinazione alla condivisione di attenzione e di stati intenzionali come credenze, desideri, pensieri, intenzioni, speranze, ricordi, paure, promesse e così via.
Quando un bambino indica infatti, non lo fa solo per constatare un evento (“C’è un aereo!”) o per produrre un certo effetto nel comportamento di chi gli sta vicino (per esempio spingerlo ad avvicinargli un oggetto fuori portata), ma anche per portare l’altro a conoscere o a sentire quello che lui prova. Sin da epoche molto precoci infatti, i bambini esprimono col pointing la necessità di condividere le proprie emozioni con l’adulto sotto forma di proto-conversazioni.

Immaginiamo padre e figlia affacciati alla finestra: improvvisamente la bambina alza l’indice in direzione di un piccione che vola su un tetto, facendo vocalizzi di gioia e movimenti concitati mentre guarda alternativamente il genitore e l’animale.
In questa circostanza quello che la bambina vuole comunicare non è la semplice dichiarazione “c’è un uccello”, ma soprattutto il desiderio di guardare insieme e di esprimere la sua eccitazione auspicando che il padre reagisca allo stesso modo.
Con l’atto di indicare, la bambina richiama l’attenzione dell’adulto per condividerla e nel fare questo rivela la sua capacità, in forma ancora rudimentale, di attribuire stati mentali all’altro. La bambina si rappresenta infatti il punto di vista del genitore: da un lato riconosce che deve orientare lo sguardo del padre verso il piccione, riconoscendone l’alterità; dall’altro lato nutre l’aspettativa che lui possa prima comprendere e poi condividere il suo stesso stupore alla vista del volatile. Con questa attesa, la bambina attribuisce al padre delle capacità cognitive e dei sentimenti che, in un qualche modo, sa di poter influenzare o orientare nella direzione della condivisione di uno stato emotivo importante per lei.

Un’altra importante constatazione è che i bambini non indicano solo oggetti presenti, ma per esempio anche la porta da dove sanno che presto uscirà il loro papà per andare a lavoro, l’oggetto che poco prima gli era stato proibito toccare, il luogo dove un evento eccitante è appena accaduto e così via.
Questi esempi mettono in luce un uso del pointing molto elaborato e presente sin dal primo anno di vita, nella misura in cui il bambino intende dirigere l’attenzione dell’adulto non solo sugli oggetti presenti, ma anche su ricordi o aspettative, ovvero sui suoi stati mentali interni.

L’indicare infantile, al pari dell’imitazione, è una forma di proto-comprensione della mente altrui che, una volta sviluppatasi appieno, permette di orientarsi nel mondo sociale grazie all’attribuzione di significato al comportamento dell’altro. In questo direzione anche imitare serve al bambino per comprendere il mondo sociale, permettendogli in qualche modo di riconoscere un’equivalenza tra gli stati sia fisici che mentali apparenti negli altri e quelli percepiti dal sé.

Intorno all’anno di età i bambini arricchiscono il loro repertorio comunicativo pre-linguistico, incominciando a indicare col dito (pointing) in presenza di un’altra persona.
A dispetto della sua apparente semplicità, questo gesto si sviluppa su una serie di competenze cognitive e sociali e sull’inclinazione alla condivisione di attenzione e di stati intenzionali come credenze, desideri, pensieri, intenzioni, speranze, ricordi, paure, promesse e così via.
Quando un bambino indica infatti, non lo fa solo per constatare un evento (“C’è un aereo!”) o per produrre un certo effetto nel comportamento di chi gli sta vicino (per esempio spingerlo ad avvicinargli un oggetto fuori portata), ma anche per portare l’altro a conoscere o a sentire quello che lui prova. Sin da epoche molto precoci infatti, i bambini esprimono col pointing la necessità di condividere le proprie emozioni con l’adulto sotto forma di proto-conversazioni.

Immaginiamo padre e figlia affacciati alla finestra: improvvisamente la bambina alza l’indice in direzione di un piccione che vola su un tetto, facendo vocalizzi di gioia e movimenti concitati mentre guarda alternativamente il genitore e l’animale.
In questa circostanza quello che la bambina vuole comunicare non è la semplice dichiarazione “c’è un uccello”, ma soprattutto il desiderio di guardare insieme e di esprimere la sua eccitazione auspicando che il padre reagisca allo stesso modo.
Con l’atto di indicare, la bambina richiama l’attenzione dell’adulto per condividerla e nel fare questo rivela la sua capacità, in forma ancora rudimentale, di attribuire stati mentali all’altro. La bambina si rappresenta infatti il punto di vista del genitore: da un lato riconosce che deve orientare lo sguardo del padre verso il piccione, riconoscendone l’alterità; dall’altro lato nutre l’aspettativa che lui possa prima comprendere e poi condividere il suo stesso stupore alla vista del volatile. Con questa attesa, la bambina attribuisce al padre delle capacità cognitive e dei sentimenti che, in un qualche modo, sa di poter influenzare o orientare nella direzione della condivisione di uno stato emotivo importante per lei.

Un’altra importante constatazione è che i bambini non indicano solo oggetti presenti, ma per esempio anche la porta da dove sanno che presto uscirà il loro papà per andare a lavoro, l’oggetto che poco prima gli era stato proibito toccare, il luogo dove un evento eccitante è appena accaduto e così via.
Questi esempi mettono in luce un uso del pointing molto elaborato e presente sin dal primo anno di vita, nella misura in cui il bambino intende dirigere l’attenzione dell’adulto non solo sugli oggetti presenti, ma anche su ricordi o aspettative, ovvero sui suoi stati mentali interni.

L’indicare infantile, al pari dell’imitazione, è una forma di proto-comprensione della mente altrui che, una volta sviluppatasi appieno, permette di orientarsi nel mondo sociale grazie all’attribuzione di significato al comportamento dell’altro. In questo direzione anche imitare serve al bambino per comprendere il mondo sociale, permettendogli in qualche modo di riconoscere un’equivalenza tra gli stati sia fisici che mentali apparenti negli altri e quelli percepiti dal sé.