Storia di un Matrimonio

Marriage story è la cronaca nuda e cruda di un amore che colpisce proprio per la sua normalità.
In questa storia, come del resto in tutte le  storie, si vede come la scelta del partner più che dipendere dalle sue caratteristiche, sia piuttosto espressione della propria configurazione relazionale storica che l’altro riesce a far risuonare.
Da un lato c’è Nicole che ha recitato in un film da adolescente, dall’altro Charlie, talentuoso regista che la elegge sua musa. Grazie all’incontro con Charlie, Nicole prende il volo dalla comatosa normalità in cui si sentiva trascinata e, recitando nella compagnia teatrale del marito, raggiunge il firmamento delle celebrità. Possiamo pensare che Nicole veda in Charlie l’opportunità di entrare in contatto con parti di sé rinnegate, fra tutte il desiderio di affermarsi come attrice nello stesso modo in cui lui, da zero, è diventato un regista di successo.

Quando però le accecanti luci della ribalta si spostano da lei su di lui, Nicole nei panni di una moderna Norma Desmond, da stella diventa un buco nero di desideri infranti che si allarga a macchia d’olio ad ogni aspetto della sua vita. Nella confessione all’avvocatessa, Nicole racconta infatti del suo non aver mai scelto, nemmeno le cose più piccole come l’arredamento della loro casa (tutta opera di Charlie) nella quale, tra l’altro, sente di avervi solo traslocato. Ciò che avverte è piuttosto l’amara sensazione di essere scelta, diretta da Charlie come uno dei suoi spettacoli. Quando i riflettori si sono spostati da lei, hanno messo a nudo la sua ombra, quella di un’identità senza chiari contorni, che affida la sua definizione alle mani di un esperto pigmalione, capace di trasformarla come gli interni di una casa fatta su misura. Più nello specifico Nicole ha inconsapevolmente demandato a Charlie il compito di colmare il suo vuoto interiore, creando così un incastro con il bisogno di Charlie di essere un riferimento che guida e supporta l’altro.

Se tuttavia la propria risoluzione personale – sia che si tratti di un profondo bisogno affettivo, di un vuoto esistenziale o di accedere a  uno sguardo diverso su di sé – è delegata in toto all’altro, allora si crea uno stallo che ha tutto il sapore della crisi di coppia.
Quando l’altro non è più visto come uno spunto per cogliersi interiormente e quindi per divenire, allora il funzionamento di coppia si arresta e con la crisi segnala a gran voce la necessità di un cambiamento. Anche se spesso viene espressa da un solo partner, la crisi non è mai di uno solo, ma appartiene sempre a entrambi. Si può rispondere in tanti modi alla crisi, c’è chi come Charlie sceglie la via del tradimento, chi come Nicole quella della separazione: in entrambi i casi si delinea la ricerca della comprensione del proprio desiderio (inteso come autentico bisogno di definizione di sé) all’esterno della coppia.

Nel film è messa in luce un’escalation di violenza verbale tra i due personaggi che, curiosamente, spinge lo spettatore a prendere altrettanto violentemente le parti dell’una o dell’altro. L’incandescente discussione avvenuta nel salotto di Charlie sottende l’esplosione di due bisogni insoddisfatti che, tuttavia, non riescono a confrontarsi per via dell’assolutizzazione di ognuno dei due punti di vista – assolutizzazione ben esemplificata dalle urla concitate e dai feroci insulti reciprocamente inferti dai personaggi. In situazioni di questo tipo, la vera violenza è costituita dalla tirannica attesa che l’altro debba comprendere e accettare il proprio punto di vista, senza mediazioni di alcun tipo. Costringere l’altro ad agire secondo il proprio desiderio è una forma di violenza che nasce dalla sofferenza. Questa non è una fase di negoziati, ma di posizioni trincerate in cui ciò che viene difeso a spada tratta (puntualmente messo in scena da agguerriti avvocati) è, per ognuno, la legittimità del proprio bisogno.

Il finale del film ci mostra che esiste un’alternativa alla separazione e alla violenza come risposta alla crisi. La scena del figlio che legge i pregi del padre, scritti dalla madre prima della separazione su consiglio del counselor, parla dell’uscita dalla propria trincea affettiva, dall’assolutizzazione del proprio punto di vista, dagli schemi del “sei tu che.. “ e “dell’io invece..” in cui la separazione è sempre colpa dell’altro. È come se bastasse tradurre in poche e stentate parole, incespicate come la lettura che il bambino fa della lettera, un segno di apertura all’altro, per incontrarlo nel suo punto di vista ridimensionando il proprio in termini più realistici. Solo in questo modo Nicole potrà riconoscere che solo lei può farsi carico del suo bisogno di affermarsi scegliendo, senza chiedere a Charlie di farlo al suo posto; Charlie potrebbe, invece, riconoscere l’importanza di lasciare a Nicole il suo spazio senza sovrapposizioni.

Marriage story è la cronaca nuda e cruda di un amore che colpisce proprio per la sua normalità.
In questa storia, come del resto in tutte le  storie, si vede come la scelta del partner più che dipendere dalle sue caratteristiche, sia piuttosto espressione della propria configurazione relazionale storica che l’altro riesce a far risuonare.
Da un lato c’è Nicole che ha recitato in un film da adolescente, dall’altro Charlie, talentuoso regista che la elegge sua musa. Grazie all’incontro con Charlie, Nicole prende il volo dalla comatosa normalità in cui si sentiva trascinata e, recitando nella compagnia teatrale del marito, raggiunge il firmamento delle celebrità. Possiamo pensare che Nicole veda in Charlie l’opportunità di entrare in contatto con parti di sé rinnegate, fra tutte il desiderio di affermarsi come attrice nello stesso modo in cui lui, da zero, è diventato un regista di successo.

Quando però le accecanti luci della ribalta si spostano da lei su di lui, Nicole nei panni di una moderna Norma Desmond, da stella diventa un buco nero di desideri infranti che si allarga a macchia d’olio ad ogni aspetto della sua vita. Nella confessione all’avvocatessa, Nicole racconta infatti del suo non aver mai scelto, nemmeno le cose più piccole come l’arredamento della loro casa (tutta opera di Charlie) nella quale, tra l’altro, sente di avervi solo traslocato. Ciò che avverte è piuttosto l’amara sensazione di essere scelta, diretta da Charlie come uno dei suoi spettacoli. Quando i riflettori si sono spostati da lei, hanno messo a nudo la sua ombra, quella di un’identità senza chiari contorni, che affida la sua definizione alle mani di un esperto pigmalione, capace di trasformarla come gli interni di una casa fatta su misura. Più nello specifico Nicole ha inconsapevolmente demandato a Charlie il compito di colmare il suo vuoto interiore, creando così un incastro con il bisogno di Charlie di essere un riferimento che guida e supporta l’altro.

Se tuttavia la propria risoluzione personale – sia che si tratti di un profondo bisogno affettivo, di un vuoto esistenziale o di accedere a  uno sguardo diverso su di sé – è delegata in toto all’altro, allora si crea uno stallo che ha tutto il sapore della crisi di coppia.
Quando l’altro non è più visto come uno spunto per cogliersi interiormente e quindi per divenire, allora il funzionamento di coppia si arresta e con la crisi segnala a gran voce la necessità di un cambiamento. Anche se spesso viene espressa da un solo partner, la crisi non è mai di uno solo, ma appartiene sempre a entrambi. Si può rispondere in tanti modi alla crisi, c’è chi come Charlie sceglie la via del tradimento, chi come Nicole quella della separazione: in entrambi i casi si delinea la ricerca della comprensione del proprio desiderio (inteso come autentico bisogno di definizione di sé) all’esterno della coppia.

Nel film è messa in luce un’escalation di violenza verbale tra i due personaggi che, curiosamente, spinge lo spettatore a prendere altrettanto violentemente le parti dell’una o dell’altro. L’incandescente discussione avvenuta nel salotto di Charlie sottende l’esplosione di due bisogni insoddisfatti che, tuttavia, non riescono a confrontarsi per via dell’assolutizzazione di ognuno dei due punti di vista – assolutizzazione ben esemplificata dalle urla concitate e dai feroci insulti reciprocamente inferti dai personaggi. In situazioni di questo tipo, la vera violenza è costituita dalla tirannica attesa che l’altro debba comprendere e accettare il proprio punto di vista, senza mediazioni di alcun tipo. Costringere l’altro ad agire secondo il proprio desiderio è una forma di violenza che nasce dalla sofferenza. Questa non è una fase di negoziati, ma di posizioni trincerate in cui ciò che viene difeso a spada tratta (puntualmente messo in scena da agguerriti avvocati) è, per ognuno, la legittimità del proprio bisogno.

Il finale del film ci mostra che esiste un’alternativa alla separazione e alla violenza come risposta alla crisi. La scena del figlio che legge i pregi del padre, scritti dalla madre prima della separazione su consiglio del counselor, parla dell’uscita dalla propria trincea affettiva, dall’assolutizzazione del proprio punto di vista, dagli schemi del “sei tu che.. “ e “dell’io invece..” in cui la separazione è sempre colpa dell’altro. È come se bastasse tradurre in poche e stentate parole, incespicate come la lettura che il bambino fa della lettera, un segno di apertura all’altro, per incontrarlo nel suo punto di vista ridimensionando il proprio in termini più realistici. Solo in questo modo Nicole potrà riconoscere che solo lei può farsi carico del suo bisogno di affermarsi scegliendo, senza chiedere a Charlie di farlo al suo posto; Charlie potrebbe, invece, riconoscere l’importanza di lasciare a Nicole il suo spazio senza sovrapposizioni.