Il Filo Nascosto

Paul Thomas Anderson, 2017

Raynolds Woodcock è un celebre stilista, noto per l’indefessa e maniacale precisione con cui confeziona capi di alta sartoria. Nelle fodere degli abiti è solito nascondere, come suggerisce il titolo, messaggi o oggetti segreti: in particolare nel bavero della sua giacca ha cucito una ciocca di capelli della madre defunta per portarla sempre con sé. Questa immagine introduce, sin dalle prime scene del film, l’importanza di una figura che, pur nella sua assenza, continua a esercitare profondi effetti nella vita del figlio. Infatti dopo averla persa nel mondo reale, Raynolds ha conservato intatto il legame con lei portandola dentro di sé e facendone una figura votiva.

Anche la scelta della sua professione è in qualche modo legata alla madre, tanto è vero che il primo vestito che ha cucito è stato proprio il suo abito da sposa, nonostante le credenze popolari volessero che toccando un vestito da matrimonio, non ci si potesse più sposare. In un certo senso Raynolds sembra davvero in balia di un sortilegio che lo consegna a una vita in solitudine, infatti sin dal primo incontro con la giovane Alma, le dichiara di essere uno “scapolo impenitente”, quindi non tagliato per il matrimonio. Le parole pronunciate da Raynolds, come del resto sottolinea Alma, risuonano così sicure e perentorie tanto da sembrare l’esito di una condizione ineluttabile e, forse, è proprio così che si declinano nel vissuto del protagonista.

La stessa inflessibilità si riscontra nel modo in cui scandisce le sue giornate, rigidamente disciplinate da rituali ferrei, si vedano le scene delle sue letture a colazione, che dovevano svolgersi in ossequioso silenzio. In un certo senso è come se la tenacia delle sue consuetudini e delle sue visioni lo facessero sentire in controllo della situazione, saturando ogni spazio per escludere la possibilità di intessere nuove relazioni, mantenendo così la fedeltà alla figura materna. In questo senso emerge tutta la complessità e la persistenza dei legami primari interiorizzati che possono essere visti sia come bisogno, sia come condanna.

Ed è proprio nelle pieghe di un personaggio, in apparenza sicuro e dominatore, che si intravedono le sue fragilità e le sue debolezze. In tal proposito, la sua visione angelicata della madre in abito da sposa sembra alludere alla condizione di passività e di dipendenza infantile con cui si guarda a un’immagine sacra, situazione tra l’altro rimarcata dal suo essere malato e allettato.

Ad uno sguardo più ravvicinato, l’aura che incorniciava la figura materna rivela come Raynolds ne abbia conservato un ricordo fatto, oltre che di aspetti reali, anche di elementi immaginari o addirittura ideali che, in quanto tali, risultano intoccabili e inattaccabili.

Nello specifico Raynolds sembra fedele al ricordo di un amore perfetto e simbiotico quale è quello che lega un bambino a sua madre, così idealizzato da non poter essere comparato ad altre forme di amore nella sua vita adulta. Il fatto che nella visione la madre compaia vestita da sposa, sembra sottolineare l’idea che nella mente del protagonista lo spazio dell’amore coniugale sia già occupato. Come dice la sorella di Raynolds ad Alma: “Mio fratello tende a sentirsi condannato, crede che l’amore gli sia precluso”.

In tal senso più che di un legame, possiamo parlare di vincolo interiorizzato dal momento che inchioda il protagonista al passato, impedendogli di divenire come soggetto. Tuttavia il finale lascia intravedere uno spiraglio di apertura al cambiamento, quando Raynolds cuce nell’abito da sposa la frase never cursed, quasi un’allusione alla fine del sortilegio, ma solo nella misura in cui la relazione con Alma gli permette di assumere alternativamente gli stessi ruoli giocati con la madre: da un lato, quello di figlio devoto che si prende cura di lei confezionandole i vestiti su misura, dall’altro, quello di figlio debole e bisognoso di cure.

Raynolds Woodcock è un celebre stilista, noto per l’indefessa e maniacale precisione con cui confeziona capi di alta sartoria. Nelle fodere degli abiti è solito nascondere, come suggerisce il titolo, messaggi o oggetti segreti: in particolare nel bavero della sua giacca ha cucito una ciocca di capelli della madre defunta per portarla sempre con sé. Questa immagine introduce, sin dalle prime scene del film, l’importanza di una figura che, pur nella sua assenza, continua a esercitare profondi effetti nella vita del figlio. Infatti dopo averla persa nel mondo reale, Raynolds ha conservato intatto il legame con lei portandola dentro di sé e facendone una figura votiva.

Anche la scelta della sua professione è in qualche modo legata alla madre, tanto è vero che il primo vestito che ha cucito è stato proprio il suo abito da sposa, nonostante le credenze popolari volessero che toccando un vestito da matrimonio, non ci si potesse più sposare. In un certo senso Raynolds sembra davvero in balia di un sortilegio che lo consegna a una vita in solitudine, infatti sin dal primo incontro con la giovane Alma, le dichiara di essere uno “scapolo impenitente”, quindi non tagliato per il matrimonio. Le parole pronunciate da Raynolds, come del resto sottolinea Alma, risuonano così sicure e perentorie tanto da sembrare l’esito di una condizione ineluttabile e, forse, è proprio così che si declinano nel vissuto del protagonista.

La stessa inflessibilità si riscontra nel modo in cui scandisce le sue giornate, rigidamente disciplinate da rituali ferrei, si vedano le scene delle sue letture a colazione, che dovevano svolgersi in ossequioso silenzio. In un certo senso è come se la tenacia delle sue consuetudini e delle sue visioni lo facessero sentire in controllo della situazione, saturando ogni spazio per escludere la possibilità di intessere nuove relazioni, mantenendo così la fedeltà alla figura materna. In questo senso emerge tutta la complessità e la persistenza dei legami primari interiorizzati che possono essere visti sia come bisogno, sia come condanna.

Ed è proprio nelle pieghe di un personaggio, in apparenza sicuro e dominatore, che si intravedono le sue fragilità e le sue debolezze. In tal proposito, la sua visione angelicata della madre in abito da sposa sembra alludere alla condizione di passività e di dipendenza infantile con cui si guarda a un’immagine sacra, situazione tra l’altro rimarcata dal suo essere malato e allettato.

Ad uno sguardo più ravvicinato, l’aura che incorniciava la figura materna rivela come Raynolds ne abbia conservato un ricordo fatto, oltre che di aspetti reali, anche di elementi immaginari o addirittura ideali che, in quanto tali, risultano intoccabili e inattaccabili.

Nello specifico Raynolds sembra fedele al ricordo di un amore perfetto e simbiotico quale è quello che lega un bambino a sua madre, così idealizzato da non poter essere comparato ad altre forme di amore nella sua vita adulta. Il fatto che nella visione la madre compaia vestita da sposa, sembra sottolineare l’idea che nella mente del protagonista lo spazio dell’amore coniugale sia già occupato. Come dice la sorella di Raynolds ad Alma: “Mio fratello tende a sentirsi condannato, crede che l’amore gli sia precluso”.

In tal senso più che di un legame, possiamo parlare di vincolo interiorizzato dal momento che inchioda il protagonista al passato, impedendogli di divenire come soggetto. Tuttavia il finale lascia intravedere uno spiraglio di apertura al cambiamento, quando Raynolds cuce nell’abito da sposa la frase never cursed, quasi un’allusione alla fine del sortilegio, ma solo nella misura in cui la relazione con Alma gli permette di assumere alternativamente gli stessi ruoli giocati con la madre: da un lato, quello di figlio devoto che si prende cura di lei confezionandole i vestiti su misura, dall’altro, quello di figlio debole e bisognoso di cure.

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