Brad's Status
Mark White, 2017
Il film ripropone insistentemente i pensieri e i vissuti di profonda inadeguatezza del protagonista (Brad Sloan) tanto da veicolarne così, oltre che con i dialoghi, la loro portata ossessiva.
È come se ci trovassimo ad ascoltare sempre le stesse note di un disco rotto che si incanta su un punto difettoso. Ma qual è il punto in cui si incanta Brad? Cos’è che lo porta a rimuginare sul proprio valore e sulle conquiste della sua vita?
Brad è tormentato dal confronto con gli altri, specie con i più stretti amici dell’università che ce l’hanno fatta guadagnandosi (ai suoi occhi) un posto sul monte Olimpo del successo. Un famoso regista di Hollywood, un imprenditore che all’alba dei quaranta si è trasferito alle Hawaii, un colosso del business con un jet privato, un professore, autore e commentatore televisivo, che con la loro luce mettono in ombra le sue “modeste” conquiste. Brad ha un web business che si occupa di abbinare fondazioni no-profit con beneficiari bisognosi, mentre Melanie, la moglie, è una donna benevola e appassionata che lavora per il governo. Insieme hanno una casa “modesta”, in un quartiere “modesto”, nella “modesta” città di Sacramento.
Per Brad la vita è come un viaggio in aereo in seconda classe, lo stesso che ha intrapreso con il figlio Troy alla volta di Boston, per visitare le università che potrà scegliere di frequentare. Approssimandosi alla figura del secondo, fra tutti si veda l’esempio di Buzz Aldrin – il secondo uomo che ha messo piede sulla luna, ma il cui ricordo sbiadisce al cospetto di Armstrong – , Brad è inghiottito in un vortice di letture paranoiche della realtà che confermano il suo percepirsi inetto.
Brad anela a una perfezione patinata che proietta anche sul figlio, desiderando per lui una carriera così radiosa da abbagliare i suoi acerrimi rivali, trasformandolo quasi in uno strumento di rivalsa che annulli lo scarto tra i loro successi. E così che Troy non viene visto nelle sue caratteristiche reali, bensì come il figlio che il genitore avrebbe voluto essere. Troy diventa il ricettacolo delle aspirazioni paterne decadute, investito da soffocanti e altrettanto estranee aspettative, quando non il metro della capacità genitoriale.
Ma anche qui si insinua un’inconfessabile tarlo: e se anche i successi del proprio figlio diventassero testimonianza del fallimento di Brad?
Sicuramente l’uscita di casa di Troy, stimola una ridefinizione identitaria da parte di Brad, come padre e come uomo. Nel primo caso, la sua relazione col figlio non sarà più dominata dall’asimmetria tipica del periodo della dipendenza infantile (proprio sul finale, le parole paternalistiche di Troy tagliano il traguardo verso la maturità). Nel secondo caso, ora più che mai, Brad fa i conti con il tramonto delle speranze, delle opportunità e delle fantasie a volte utopiche della giovinezza, portandolo inevitabilmente a passare il testimone al figlio (come nella scena in spiaggia dove le ragazze passano da Brad a Troy).
Probabilmente il vissuto predominante di Brad, la dolorosa vergogna per l’incapacità di raggiungere standard ideali, viene accentuata da questo cambiamento nella sua vita che mette doppiamente in scacco il suo desiderio di onnipotenza di retaggio infantile.
Il film ripropone insistentemente i pensieri e i vissuti di profonda inadeguatezza del protagonista (Brad Sloan) tanto da veicolarne così, oltre che con i dialoghi, la loro portata ossessiva.
È come se ci trovassimo ad ascoltare sempre le stesse note di un disco rotto che si incanta su un punto difettoso. Ma qual è il punto in cui si incanta Brad? Cos’è che lo porta a rimuginare sul proprio valore e sulle conquiste della sua vita?
Brad è tormentato dal confronto con gli altri, specie con i più stretti amici dell’università che ce l’hanno fatta guadagnandosi (ai suoi occhi) un posto sul monte Olimpo del successo. Un famoso regista di Hollywood, un imprenditore che all’alba dei quaranta si è trasferito alle Hawaii, un colosso del business con un jet privato, un professore, autore e commentatore televisivo, che con la loro luce mettono in ombra le sue “modeste” conquiste. Brad ha un web business che si occupa di abbinare fondazioni no-profit con beneficiari bisognosi, mentre Melanie, la moglie, è una donna benevola e appassionata che lavora per il governo. Insieme hanno una casa “modesta”, in un quartiere “modesto”, nella “modesta” città di Sacramento.
Per Brad la vita è come un viaggio in aereo in seconda classe, lo stesso che ha intrapreso con il figlio Troy alla volta di Boston, per visitare le università che potrà scegliere di frequentare. Approssimandosi alla figura del secondo, fra tutti si veda l’esempio di Buzz Aldrin – il secondo uomo che ha messo piede sulla luna, ma il cui ricordo sbiadisce al cospetto di Armstrong – , Brad è inghiottito in un vortice di letture paranoiche della realtà che confermano il suo percepirsi inetto.
Brad anela a una perfezione patinata che proietta anche sul figlio, desiderando per lui una carriera così radiosa da abbagliare i suoi acerrimi rivali, trasformandolo quasi in uno strumento di rivalsa che annulli lo scarto tra i loro successi. E così che Troy non viene visto nelle sue caratteristiche reali, bensì come il figlio che il genitore avrebbe voluto essere. Troy diventa il ricettacolo delle aspirazioni paterne decadute, investito da soffocanti e altrettanto estranee aspettative, quando non il metro della capacità genitoriale.
Ma anche qui si insinua un’inconfessabile tarlo: e se anche i successi del proprio figlio diventassero testimonianza del fallimento di Brad?
Sicuramente l’uscita di casa di Troy, stimola una ridefinizione identitaria da parte di Brad, come padre e come uomo. Nel primo caso, la sua relazione col figlio non sarà più dominata dall’asimmetria tipica del periodo della dipendenza infantile (proprio sul finale, le parole paternalistiche di Troy tagliano il traguardo verso la maturità). Nel secondo caso, ora più che mai, Brad fa i conti con il tramonto delle speranze, delle opportunità e delle fantasie a volte utopiche della giovinezza, portandolo inevitabilmente a passare il testimone al figlio (come nella scena in spiaggia dove le ragazze passano da Brad a Troy).
Probabilmente il vissuto predominante di Brad, la dolorosa vergogna per l’incapacità di raggiungere standard ideali, viene accentuata da questo cambiamento nella sua vita che mette doppiamente in scacco il suo desiderio di onnipotenza di retaggio infantile.
Comments are closed.