Di-Segni e Simboli
Una lettura psicoanalitica dei disegni dei bambini sul Coronavirus
In giorni come questi, attraversati dal clima di emergenza, è importante spiegare ai bambini, anche ai più piccoli, quello che sta succedendo. Spesso pensiamo di proteggerli dalle cose che ci spaventano con i silenzi ed evitando di affrontare un discorso che, messo alla porta, rientra però più prepotente dalla finestra. Senza considerare che il linguaggio non verbale, più sintonizzato con le emozioni, può essere rivelatore di ciò che invece tentiamo di nascondere a parole. Così proprio il non parlarne, nonostante la paralisi del mondo quotidiano, può trasmettere ai bambini l’idea di qualcosa di terrificante e di impossibile da affrontare anche per noi adulti. E quello che rimane in ombra e non viene pensato, si carica di significati ancora più angoscianti.
Anche col disegno i bambini danno forma concreta e definita alle loro preoccupazioni e ai loro desideri e, ponendoli sul foglio, mettono una distanza di sicurezza tra sé e loro: disegnare un personaggio che piange è un’operazione che permette di esprimere un’emozione senza attribuirsela esplicitamente..
In questo senso ho chiesto ad alcuni bambini, dai 4 agli 8 anni, di partecipare a un progetto la cui consegna era: “Disegna come ti immagini il Coronavirus”.
Ciascuno di loro ha corredato il disegno con una breve spiegazione, necessaria alla decifrazione dell’immagine stessa.
Nei disegni di molti bambini, il virus è decisamente grande e, spesso, posto in posizione centrale come a rafforzarne l’enfasi. Si noti che i bambini fino ai 5/6 anni non hanno il senso delle proporzioni e quindi distorcono le dimensioni degli oggetti rappresentati per evidenziare ciò che li impressiona. Anche la distribuzione degli elementi nello spazio, prima dell’apprendimento della scrittura, non segue dei criteri razionali e, in analogia alle proporzioni, può assumere un significato affettivo.
Leonardo (4 anni) ha disegnato un virus che occupa tutto il foglio e ha scelto di colorarlo prevalentemente di rosso. Anche la scelta del colore, che in questa età non è dettata da criteri di realismo, può fornirci indicazioni sull’aspetto emotivo. Da un punto di vista culturale, il rosso è quasi universalmente inteso come il colore della potenza e della vitalità (anche perché richiama il sangue), ma può indicare anche rabbia, aggressività e pericolo.
Leonardo immagina un virus pieno di occhi (cerchietti nella parte centrale e superiore), con una bocca simile a una cicatrice, con delle mani alla base, e tutt’intorno delle “cose che si appiccicano al corpo”. Emerge con evidenza il tema del contagio tramite il contatto con le mani e con le cose appiccicose che si attaccano e non si levano facilmente.
Di più, gli occhi disegnati in maniera ripetuta possono alludere a una dimensione persecutoria e/o di controllo del tipo “il virus mi può vedere”.


Anche per Gaia (4 anni) il virus è collocato al centro, nonostante il volume meno titanico. Per Gaia il virus “gira come un girotondo”, quindi è in movimento come qualunque essere vivente, è vitale ed energico come un bambino che gioca, ma spostandosi può anche contagiare. Come nel caso di Leonardo, anche qui è importante la tematica del vedere/non vedere: in particolare Gaia ha scelto il viola perché è un colore difficile da vedere. Se prima l’accento era sull’essere visti, qui è sul non poter vedere: sia che li leggiamo separatamente, sia in senso complementare (non poter vedere qualcosa che invece ci guarda) il vissuto comune è quello di perdita/mancanza di controllo.
Stella (4 anni) disegna un virus molto grande e in primo piano, dalla forma arrotondata e allungata quasi a mitigarne la pericolosità e, in questa direzione, sembra andare anche l’uso del colore, variegato e senza troppe sbavature (in relazione all’età). Nella parte inferiore del disegno, però, le figure si comprimono e si schiacciano sul margine perdendo il respiro iniziale, come a evocare segni di ansia. Come per Gaia, anche qui vi è un’idea di movimento circolare.

Luca (8 anni) è il fratello di Stella e anche nel suo disegno il virus ha delle sporgenze che culminano con dei pallini rossi.
Nei disegni di bambini di quest’età i rapporti tra le parti diventano più realistici, ma in situazioni di maggiore coinvolgimento emotivo possono delinearsi “errori” di proporzione. Infatti mentre l’immagine del ragazzo che starnutisce è abbastanza regolare e proporzionata, le goccioline che rappresentano il virus sono particolarmente grandi, addirittura più della testa del soggetto.
I virus viaggiano nell’aria occupando tutto lo spazio e sono animati da un’espressione beffarda e aggressiva accentuata anche dal tratto piuttosto marcato con cui è definita. I contorni ben delineati delle figure possono evocare una necessità di controllo (simbolicamente uno “stare dentro le righe”) che diventa tanto più rigido e intenso quanto più il virus è visto come pervasivo e sfuggente (tant’è che esce dal foglio). Infatti anche se il ragazzo starnutisce nel gomito (tentando di arginare il contagio) il virus sembra comunque circolare liberamente. Anche il dettaglio così curato della cintura sembra andare nella direzione di qualcosa da trattenere e non fare uscire.

Probabilmente l’enfasi sul controllo è associata alla spiegazione che i genitori hanno dato del virus, sottolineando che è importante soprattutto proteggere le persone più deboli, come la nonna che abita al piano di sotto e che ha da poco subito un’operazione importante correlata a una patologia del sistema immunitario.
Ogni volta che Pietro (quasi 4 anni) ha l’influenza, la mamma gli racconta la storia di batteri cattivi che entrano nel suo corpo e lottano contro i suoi batteri buoni che, a loro volta, finiscono col rafforzarsi e sconfiggere i primi. Anche in questo caso, la mamma gli ha spiegato che la stessa battaglia si sta combattendo contro un nuovo nemico dal nome “Coronavirus”.
Così Pietro prima disegna il virus in basso a sinistra, poi ci ripensa e lo ridisegna in rosso dimezzandolo, poi cambia idea di nuovo e lo disegna a destra, depotenziandolo ulteriormente, facendolo nero e dai contorni più labili e meno marcati.
La cancellatura che si intravede e il duplice ripensamento sul modo di connotare il coronavirus, potrebbero indicare i sentimenti conflittuali di Pietro: se, in un primo momento, la paura l’ha spinto istintivamente a rappresentarlo più grande, in un secondo tempo, sembra prevalere il desiderio di sicurezza utile a contenere l’ansia e l’incertezza. Con tutta probabilità, la spiegazione della madre ha esercitato un forte potere rassicurante, grazie alla quale il virus, nella sua ultima versione, diventa quasi trasparente.
Il batterio buono è un personaggio aggiunto, qui inteso come depositario di desideri di salvezza con cui l’autore può identificarsi. Il “batterione” si erge come un colosso sul virus cattivo che, invece, ha sembianze lillipuziane e sembra spaurito e intento a uscire di scena.
Non solo. Le notevoli dimensioni della sua testa alludono a una spiccata astuzia e gli occhi così enfatizzati sembrano rimarcare l’idea di controllo e di sorveglianza. Anche le braccia lunghe e muscolose, le mani pronunciate, ne sottolineano la forza. Le gambe sono sottili, ma lunghe come trampoli che lo fanno crescere collocandolo in una posizione di superiorità.

Emma (5 anni) disegna un signore contento perché non affetto da coronavirus, immerso in un paesaggio al tramonto. La scelta di Emma di non disegnare il virus – a dispetto della richiesta – e di spostarsi, invece, su un versante di totale positività, potrebbe mettere in luce un vissuto di preoccupazione che (senza saperlo) si sforza di nascondere con il suo opposto. In questo senso possiamo leggere il fatto che il signore è sì felice, ma anche solo e monocromatico.

Anita (8 anni) ha scelto, in senso opposto alla sorella Emma, di rappresentare questa “brutta situazione” in bianco e nero per restituirne la crudezza, descriverla in maniera oggettiva, ricca di dettagli e grande sensibilità. La scelta del non colore esprime anche un punto di vista soggettivo, un tono affettivo di tristezza e preoccupazione che viene proiettato sui personaggi alle finestre, gatto compreso. Le case assumono un doppio significato: da un lato sono viste come rifugi, tutta la gente infatti è chiusa nelle proprie abitazioni per proteggersi, ma nello stesso tempo le finestre serrate da cui si affacciano le persone, tristi e sole, danno l’idea di una prigione da cui non si può uscire.

Il simbolo della croce è ridondante: le persone sono letteralmente “messe in croce” dietro le finestre, simbolicamente afflitte dalla solitudine per via della riduzione imposta agli scambi sociali, agli incontri e dalla possibilità di uscire solo se protetti dalla mascherina; le croci sull’ambulanza e sul contenitore di amuchina, fanno pensare più al tema dell’emergenza sanitaria, al timore e alla preoccupazione di ammalarsi e di vedere gli altri ammalarsi, come espresso dal simbolo del cuore spezzato.
Maia (5 anni) chiede alla mamma se una volta finite le “vacanze da coronavirus” tornerà al lavoro e se lei potrà tornare a scuola dai suoi amichetti. Maia percepisce che qualcosa non va dato che la sua vita quotidiana è improvvisamente cambiata e chiede alla mamma rassicurazioni indirette. La mamma le spiega che in realtà non si tratta proprio di vacanze, ma di un periodo in cui devono rimanere in casa per proteggersi da un virus cattivo, un cugino del raffreddore, ma un po’ più resistente.
Maia immagina il coronavirus come un insetto colorato simile a un millepiedi e, collocandolo nella parte superiore del foglio, sembra connotarlo con leggerezza, quella che la mamma le ha trasmesso spiegandole con parole semplici la situazione.

Jacopo (6 anni) disegna il virus al centro, enfatizzandolo sia nelle dimensioni, particolarmente pronunciate rispetto agli altri elementi, sia per la scelta di colorarlo in maniera esclusiva e arricchendolo di dettagli come le bolle rosse, i prolungamenti tentacolari e la corona in testa.
Bisogna leggere il disegno da sinistra a destra, come fosse una storia con un inizio, uno sviluppo e una conclusione: il primo dettaglio è quello di una bocca che tossendo emette il pericoloso coronavirus che, tuttavia, può essere debellato lavandosi le mani (e i denti!) con vari detergenti.
Se di primo acchito l’attenzione converge al centro a segnalare un elemento pericoloso, il lieto fine rappresentato dal lavaggio delle mani esprime un senso di tranquillità e sicurezza.

Tommaso (5 anni) rappresenta il coronavirus come un essere dall’espressione diabolica e con la corona in testa, che si annida nella “bocca di un bambino con i denti tutti neri perché non se li lava”. Come in Jacopo, anche qui ritorna la correlazione tra pulizia orale e possibilità di infettarsi anche se sotto un’altra ottica: mentre per Jacopo lavarsi i denti ha uno scopo preventivo e protettivo rispetto alla malattia, Tommaso raffigura una bocca già danneggiata e sopraffatta dal virus, rivelando in filigrana l’aspetto della colpa (il bambino stesso si è procurato l’infezione non lavandosi i denti!).
Da un punto di vista simbolico infatti la colpa è associata agli “affari sporchi” in senso morale (si pensi alla shakespeariana Lady MacBeth che si lava dalle mani il sangue della colpa) che, nel caso di Tommaso, possiamo associare alla trasgressione di regole genitoriali.
Dal momento che i bambini di quest’età sono particolarmente sensibili ai giudizi di “buono/cattivo”, “bene/male” che, tuttavia, vengono colti solo dal punto di vista delle conseguenze materiali che sottendono (punizioni/ricompense), possiamo pensare che Tommaso abbia dato una connotazione morale al suo disegno immaginando un bambino che, per essersi comportato male, è stato punito col Coronavirus. Pensare in termini semplificati di giusto/sbagliato, buono/cattivo può essere un meccanismo utile per dare un senso razionale a un’esperienza emotiva complessa.
Il virus ha sembianze demoniache, tanto che le orecchie/antenne possono richiamare le tradizionali corna del diavolo, e i tratti rossi colpiscono il foglio in modo molto marcato restituendo un’atmosfera infiammata e carica di aggressività e ostilità punitiva. La bocca così piegata e spalancata sembra inseguire l’idea di un’esasperazione emotiva che ha effetti deformanti.

Vittoria (6 anni) non rappresenta direttamente il coronavirus, ma cerca di renderlo visibile a partire dai suoi effetti. L’ambulanza ha un’importanza centrale ed è disegnata con molti dettagli (siringhe, cerotti, garze, disinfettanti, barella, luci molto marcate) nell’atto di soccorrere un ragazzo quasi morto per strada a causa del virus.
Il verde acceso accostato al giallo che fanno da sfondo alla vignetta sono colori vitali e positivi (in analogia al cuore) e poco in sintonia con il monito “bisogna stare attenti al coronavirus”. Questo contrasto potrebbe servire a Vittoria per esprimere un conflitto tra vissuti opposti, di allerta e di sicurezza. Nella stessa misura anche l’ambulanza – intesa come simbolo di cura e protezione – fa da contraltare al corpo esanime del ragazzo che evoca invece l’impossibilità di salvarsi.
Il cielo, convenzionalmente simbolo di aspirazioni e speranze, risulta invece tratteggiato in modo frettoloso e inaccurato (decisamente in contrapposizione con la precisione dei particolari nel resto del disegno) quasi a indicare un senso di sfiducia e incertezza per la situazione in corso.

Alessandro (4 anni) disegna il coronavirus sulla parte alta del foglio, in sospensione grazie alle sue ali che sostituiscono le braccia. Il corpo del virus è, infatti, formato solo da un tronco poiché mancano anche le gambe, forse non importanti visto che è nell’aria.
Il suo piccolo viso è però solcato da un sorriso molto enfatizzato al punto da diventare grottesco e richiamare la tipica maschera dei clown (che per molti ha risonanze ambivalenti). L’elemento che colpisce di più è sicuramente la corona: di notevoli dimensioni e impreziosita da una pietra dorata e da un rubino, ha le punte arrotondate in segno di benessere come, del resto, le ali di sinistra, mentre quelle di destra tendono a comprimersi diventando più spigolose e irte in segno di ostilità. La duplicità sottesa al disegno delle ali, si ritrova anche nel tratto, a volte incerto, altre più sicuro, ma anche nell’impatto iniziale del disegno: se a prima vista il virus ha connotazioni quasi angeliche (il vestito bianco, le ali e la corona simile a un’aureola), a uno sguardo più ravvicinato il colore rosso e l’espressione emblematica mettono in luce un vissuto più vicino all’ansia e alla preoccupazione.

1 Comment
Molto interessante e istruttivo. Trapelano suggerimenti di comportamento per tutti