I Disturbi Specifici dell'Apprendimento e gli Strati delle Cipolle

I nostri studenti che “vanno male” non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. (…) La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla.  (D. Pennac, Diario di scuola)

Sostenere e aiutare i bambini e i ragazzi con disturbi dell’apprendimento è un compito complesso. Complesso perché è indispensabile un gioco di squadra – tra studenti, insegnanti, genitori, tutor e varie figure cliniche –  per vincere l’avversario. Complesso perché  non si tratta solo di intervenire sul presente, trovando un metodo di studio efficace che faciliti l’autonomia. Bisogna mettersi anche sulle tracce delle strategie di studio disfunzionali o non più adeguate, utilizzate dai ragazzi nel passato e valutarne l’impatto sulla loro autostima e identità. Come le cipolle infatti, parafrasando Pennac, anche i ragazzi hanno strati di credenze su loro stessi, nati dalle esperienze, spesso critiche, vissute sui banchi di scuola.
Sapere per esempio come un alunno con dsa si spiega l’esito di una verifica, è di importanza cruciale. I ragazzi con disturbi dell’apprendimento tendono a collegare il proprio successo in un compito alla facilità della prova o ad un aiuto esterno (per esempio uno strumento compensativo!);
al contrario, nel caso di un insuccesso spesso trovano la risposta in una sostanziale mancanza di competenza che, puntualmente, viene riconfermata ogni volta che falliscono un test.
In entrambi i casi, i ragazzi attribuiscono la causa dei loro risultati a circostanze esterne al loro controllo: infatti, se vado bene, ciò non dipende da me, dall’impegno e dallo studio profusi, ma banalmente dalle caratteristiche del compito o da qualche ausilio; analogamente, però, anche se vado male, la responsabilità è data da una mia costituzionale inabilità, cioè qualcosa che non posso cambiare.
La convinzione di non essere capace porta ad atteggiamenti passivi verso lo studio del tipo “perché impegnarsi se non sono all’altezza?” quindi ad ottenere risultati mediocri che, paradossalmente, confermano la convinzione originale. È importante intervenire precocemente per limitare nei ragazzi lo stratificarsi di percezioni erronee su di sé fondate sull’idea di un cambiamento impossibile, di uno status quo immodificabile con l’impegno e la perseveranza, lo studio strategico e l’esercizio. 

Si tratta di armarsi anche contro i danni collaterali dei disturbi dell’apprendimento, il rischio di drop out scolastico, di disturbi emotivi come ansia e depressione, di atteggiamenti oppositivi che costituiscono la punta dell’iceberg. Scrive Pennac – da ex  somaro – avrei abbandonato a ogni costo l’isola del somaro, fosse anche su una nave di pirati: la sofferenza del non capire restituisce un senso di solitudine e di emarginazione che spinge a fuggirvi e a reagirvi con ogni mezzo. Talvolta anche con un buio disinvestimento sul proprio futuro (e non solo scolastico!): si possono considerare le proprie difficoltà così definitive e non superabili al punto da mettersi fuori gioco con la rinuncia o con condotte provocatorie.

Con l’aiuto di un esperto i ragazzi possono aumentare la consapevolezza sul proprio modo di apprendere e sul loro specifico stile cognitivo per affrontare più strategicamente lo studio e riabilitare un senso di sicurezza personale che deriva dal sentirsi efficaci.  Si tratta di liberare i ragazzi dagli strati di cipolle che li appesantiscono, al prezzo, è vero, di qualche irritazione agli occhi, per fare spazio ai desideri autentici che illuminano il loro divenire.

I nostri studenti che “vanno male” non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. (…) La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla.  (D. Pennac, Diario di scuola)

Sostenere e aiutare i bambini e i ragazzi con disturbi dell’apprendimento è un compito complesso. Complesso perché è indispensabile un gioco di squadra – tra studenti, insegnanti, genitori, tutor e varie figure cliniche –  per vincere l’avversario. Complesso perché  non si tratta solo di intervenire sul presente, trovando un metodo di studio efficace che faciliti l’autonomia. Bisogna mettersi anche sulle tracce delle strategie di studio disfunzionali o non più adeguate, utilizzate dai ragazzi nel passato e valutarne l’impatto sulla loro autostima e identità. Come le cipolle infatti, parafrasando Pennac, anche i ragazzi hanno strati di credenze su loro stessi, nati dalle esperienze, spesso critiche, vissute sui banchi di scuola.
Sapere per esempio come un alunno con dsa si spiega l’esito di una verifica, è di importanza cruciale. I ragazzi con disturbi dell’apprendimento tendono a collegare il proprio successo in un compito alla facilità della prova o ad un aiuto esterno (per esempio uno strumento compensativo!);
al contrario, nel caso di un insuccesso spesso trovano la risposta in una sostanziale mancanza di competenza che, puntualmente, viene riconfermata ogni volta che falliscono un test.
In entrambi i casi, i ragazzi attribuiscono la causa dei loro risultati a circostanze esterne al loro controllo: infatti, se vado bene, ciò non dipende da me, dall’impegno e dallo studio profusi, ma banalmente dalle caratteristiche del compito o da qualche ausilio; analogamente, però, anche se vado male, la responsabilità è data da una mia costituzionale inabilità, cioè qualcosa che non posso cambiare.
La convinzione di non essere capace porta ad atteggiamenti passivi verso lo studio del tipo “perché impegnarsi se non sono all’altezza?” quindi ad ottenere risultati mediocri che, paradossalmente, confermano la convinzione originale. È importante intervenire precocemente per limitare nei ragazzi lo stratificarsi di percezioni erronee su di sé fondate sull’idea di un cambiamento impossibile, di uno status quo immodificabile con l’impegno e la perseveranza, lo studio strategico e l’esercizio. 

Si tratta di armarsi anche contro i danni collaterali dei disturbi dell’apprendimento, il rischio di drop out scolastico, di disturbi emotivi come ansia e depressione, di atteggiamenti oppositivi che costituiscono la punta dell’iceberg. Scrive Pennac – da ex  somaro – avrei abbandonato a ogni costo l’isola del somaro, fosse anche su una nave di pirati: la sofferenza del non capire restituisce un senso di solitudine e di emarginazione che spinge a fuggirvi e a reagirvi con ogni mezzo. Talvolta anche con un buio disinvestimento sul proprio futuro (e non solo scolastico!): si possono considerare le proprie difficoltà così definitive e non superabili al punto da mettersi fuori gioco con la rinuncia o con condotte provocatorie.

Con l’aiuto di un esperto i ragazzi possono aumentare la consapevolezza sul proprio modo di apprendere e sul loro specifico stile cognitivo per affrontare più strategicamente lo studio e riabilitare un senso di sicurezza personale che deriva dal sentirsi efficaci.  Si tratta di liberare i ragazzi dagli strati di cipolle che li appesantiscono, al prezzo, è vero, di qualche irritazione agli occhi, per fare spazio ai desideri autentici che illuminano il loro divenire.